PAPA FRANCISCO GESUITA EBREO
Bergoglio e i bambini desaparecidos durante la dittatura argentina
Il cardinale Jorge Bergoglio potrebbe essere chiamato a testimoniare nuovamente in una causa per crimini contro l’umanità, questa volta davanti al Tribunal Oral Federal 6, con l’accusa di essere a conoscenza di un piano sistematico di rapimento di neonati. Questo a seguito del procedimento penale aperto a seguito delle dichiarazioni di Estela de la Cuadra, figlia di una delle fondatrici delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, la quale ha raccontato le vicende intercorse tra sua madre e il religioso durante i numerosi e vani tentativi ditrovare sua nipote scomparsa.
Il 7 di luglio di quell’anno, la famiglia ricevette la notizia che Elena aveva dato alla luce una bambina, Ana, mentre era detenuta nella Comisaría 5ª di La Plata. Il parto fu successivamente confermato da vari testimoni e il suo caso costituisce uno dei trentaquattro rapimenti oggetti di indagine nel processo nel quale sono imputati, tra gli altri, i dittatori Jorge Rafael Videla e Reynaldo Bignone.
Estela ha raccontato più volte delle richieste che la madre, Alicia “Licha” de la Cuadra, avrebbe inoltrato alle autorità ecclesiastiche per trovare la ragazza viva e la neonata. “Attraverso una autorità gesuita in Italia i miei genitori ottennero un’udienza presso Jorge Bergoglio, gesuita di Buenos Aires. Quest’ultimo, in una lettera, sostiene che il vescovo di La Plata, Mario Piqui, avrebbe interceduto nel caso” afferma la testimone. Dopodiché, Piqui si sarebbe incontrato con le forze dell’ordine e avrebbe riferito ai genitori che la bambina si trovava con una “famiglia per bene” e che “non sarebbe tornata indietro”.
“Bergoglio ha affermato che era al corrente già da una decina d’anni dei casi di bambini scomparsi” – continua la testimone. “Credo che sia immorale rispondere in questo modo, si tratta di prendersi gioco di quanto è stato patito da uomini e donne innocenti”, ha affermato indignata la testimone e ha richiesto che la massima autorità cattolica del paese testimoni al processo. “Questa è la terza volta che chiedo in un Tribunale Federale: Che posizione prenderete a proposito di Bergoglio? Non sarebbe opportuno che Bergoglio risponda a queste domande?” Ha insistito la testimone davanti ai giudici i quali, sorpresi, le hanno spiegato che prima di prendere una decisione avrebbero dovuto deliberare.
La testimone ha raccontato nei dettagli le fasi iniziali di organizzazione del movimento delle Nonne della Plaza de Mayo, e delle riunioni alle quali partecipava sua madre, « Licha », assieme ad Estela de Carlotto e Maria Isabel « Chicha » Mariani, tra le altre.
Questa ha consegnato al Tribunale una grande quantità di prove che documentano le richieste incessanti delle Nonne, durante gli anni della dittatura e della democrazia: richieste pubblicate nei diari che testimoniano l’instancabile sforzo di ricerca dei parenti dei desaparecidos, che hanno dovuto affrontare in maniera estenuante l’ermetismo delle autorità militari, civili, ed ecclesiastiche.
Uno dei primi documenti firmati da « Nonne della Plaza de Mayo » è stata una richiesta diretta ad un’altra autorità ecclesiastica, il cardinale Raul Primatesta, il 12 di settembre del 1979, accompagnata da un dossier con alcuni casi di neonati scomparsi. La risposta del cardinale è stata letta dalla presidentessa del Tribunal Oral Federal 6, Maria del Carmen Roqueta: “Siamo a conoscenza della sua situazione a seguito delle sue precedenti missive. Desidererei aiutarla a recuperare sua nipote, però Lei conosce il limite di azione della gerarchia ecclesiastica. Pregheremo sulla tomba degli Apostoli per Lei e tutti coloro che condividono la sua situazione.”
A conclusione della sua testimonianza, Estela, rassegnata, ha dichiarato: “In questo momento non so dove si trova Ana, non ne ho idea. Licha l’ha cercata fin dal primo giorno, e ha continuato a cercarla fino agli ultimi attimi della sua vita. La repressione ai tempi di Videla non è solo calata giù dall’alto, dal vertice della dittatura, non è stato qualcosa di imposto in maniera coatta dai soli rappresentanti delle forze militari, ma è stata anche spalleggiata da uomini di potere appartenenti alla Chiesa”.
Il lato oscuro di Jorge Mario Bergoglio: “Colluso con la dittatura argentina”
Il nuovo Papa in una scheda fortemente critica sul suo passato. Era il 2006 quando il sito di Don Vitaliano della Sala, ‘prete no global’, ricostruì le macchie di chi oggi è chiamato a guidare la Chiesa Cattolica
“Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, presidente dei vescovi argentini, nonché tra i più votati, nel 2005, nel conclave Vaticano che ha scelto il successore di Giovanni Paolo II, è accusato di collusione con la dittatura argentina che sterminò novemila persone“.
Inizia così un lungo articolo pubblicato sul sito del prete ‘no global’ Don Vitaliano della Sala, la scheda sul “passato oscuro” di chi, a distanza di 8 anni, è il nuovo Papa.
“Le prove del ruolo giocato da Bergoglio a partire dal 24 marzo 1976, sono racchiuse nel libro L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina, del giornalista argentino Horacio Verbitsky, che da anni studia e indaga sul periodo più tragico del Paese sudamericano, lavorando sulla ricostruzione degli eventi attraverso ricerche serie e attente”.
“I fatti riferiti da Verbitsky. Nei primi anni Settanta Bergoglio, 36 anni, gesuita, divenne il più giovane Superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina. Entrando a capo della congregazione, ereditò molta influenza e molto potere, dato che in quel periodo l’istituzione religiosa ricopriva un ruolo determinante in tutte le comunità ecclesiastiche di base, attive nelle baraccopoli di Buenos Aires. Tutti i sacerdoti gesuiti che operavano nell’area erano sotto le sue dipendenze. Fu così che nel febbraio del ’76, un mese prima del colpo di stato, Bergoglio chiese a due dei gesuiti impegnati nelle comunità di abbandonare il loro lavoro nelle baraccopoli e di andarsene. Erano Orlando Yorio e Francisco Jalics, che si rifiutarono di andarsene. Non se la sentirono di abbandonare tutta quella gente povera che faceva affidamento su di loro”.
Il nuovo Papa Jorge Mario Bergoglio: Francesco
“Verbitsky racconta come Bergoglio reagì con due provvedimenti immediati. Innanzitutto li escluse dalla Compagnia di Gesù senza nemmeno informarli, poi fece pressioni all’allora arcivescovo di Buenos Aires per toglier loro l’autorizzazione a dir messa. Pochi giorni dopo il golpe, furono rapiti. Secondo quanto sostenuto dai due sacerdoti, quella revoca fu il segnale per i militari, il via libera ad agire: la protezione della Chiesa era ormai venuta meno. E la colpa fu proprio di Bergoglio, accusato di aver segnalato i due padri alla dittatura come sovversivi. Con l’accezione “sovversivo”, nell’Argentina di quegli anni, venivano qualificate persone di ogni ordine e grado: dai professori universitari simpatizzanti del peronismo a chi cantava canzoni di protesta, dalle donne che osavano indossare le minigonne a chi viaggiava armato fino ai denti, fino ad arrivare a chi era impegnato nel sociale ed educava la gente umile a prendere coscienza di diritti e libertà. Dopo sei mesi di sevizie nella famigerata Scuola di meccanica della marina (Esma), i due religiosi furono rilasciati, grazie alle pressioni del Vaticano”.
“Alle accuse dei padri gesuiti di averli traditi e denunciati, il cardinal Bergoglio si difende spiegando che la richiesta di lasciare la baraccopoli era un modo per metterli in guardia di fronte a un imminente pericolo. Un botta e risposta che è andato avanti per anni e che Verbitsky ha sempre riportato fedelmente, fiutando che la verità fosse nel mezzo. Poi la luce: dagli archivi del ministero degli Esteri sono emersi documenti che confermano la versione dei due sacerdoti, mettendo fine a ogni diatriba. In particolare Verbitsky fa riferimento a un episodio specifico: nel 1979 padre Francisco Jalics si era rifugiato in Germania, da dove chiese il rinnovo del passaporto per evitare di rimetter piede nell’Argentina delle torture. Bergoglio si offrì di fare da intermediario, fingendo di perorare la causa del padre: invece l’istanza fu respinta. Nella nota apposta sulla documentazione dal direttore dell’Ufficio del culto cattolico, allora organismo del ministero degli Esteri, c’è scritto: “Questo prete è un sovversivo. Ha avuto problemi con i suoi superiori ed è stato detenuto nell’Esma”. Poi termina dicendo che la fonte di queste informazioni su Jalics è proprio il Superiore provinciale dei gesuiti padre Bergoglio, che raccomanda che non si dia corso all’istanza. E non finisce qui. Un altro documento evidenzia ancora più chiaramente il ruolo di Bergoglio: “Nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la Compagnia Argentina non ha fatto pulizia al suo interno. I gesuiti furbi per qualche tempo sono rimasti in disparte, ma adesso con gran sostegno dall’esterno di certi vescovi terzomondisti hanno cominciato una nuova fase”. È il documento classificato Direzione del culto, raccoglitore 9, schedario B2B, Arcivescovado di Buenos Aires, documento 9. Nel libro di Verbitsky sono pubblicati anche i resoconti dell’incontro fra il giornalista argentino e il cardinale, durante i quali quest’ultimo ha cercato di presentare le prove che ridimensionassero il suo ruolo. “Non ebbi mai modo di etichettarli come guerriglieri o comunisti – affermò l’arcivescovo – tra l’altro perché non ho mai creduto che lo fossero””.
25 COSE DA SAPERE SU BERGOGLIO
“Ad inchiodarlo c’è anche la testimonianza di padre Orlando Yorio, morto nel 2000 in Uruguay e mai ripresosi pienamente dalle torture, dalla terribile esperienza vissuta chiuso nell’Esma. In un’intervista rilasciata a Verbistky nel 1999 racconta il suo arrivo a Roma dopo la partenza dall’Argentina: “Padre Gavigna, segretario generale dei gesuiti, mi aprì gli occhi – raccontò in quell’occasione – Era un colombiano che aveva vissuto in Argentina e mi conosceva bene. Mi riferì che l’ambasciatore argentino presso la Santa Sede lo aveva informato che secondo il governo eravamo stati catturati dalle Forze armate perché i nostri superiori ecclesiastici lo avevano informato che almeno uno di noi era un guerrigliero. Chiesi a Gavigna di mettermelo per iscritto e lo fece”. Nel libro, inoltre, Verbistky spiega come Bergoglio, durante la dittatura militare, abbia svolto attività politica nella Guardia di ferro, un’organizzazione della destra peronista, che ha lo stesso nome di una formazione rumena sviluppatasi fra gli anni Venti e i Trenta del Novecento, legata al nazionalsocialismo. Secondo il giornalista, l’attuale arcivescovo di Buenos Aires, quando ricoprì il ruolo di Provinciale della Compagnia di Gesù, decise che l’Università gestita dai gesuiti fosse collegata a un’associazione privata controllata dalla Guardia di ferro. Controllo che terminò proprio quando Bergoglio fu trasferito di ruolo. “Io non conosco casi moderni di vescovi che abbiano avuto una partecipazione politica così esplicita come è stata quella di Bergoglio”, incalza Verbitsky. “Lui agisce con il tipico stile di un politico. È in relazione costante con il mondo politico, ha persino incontri costanti con ministri del governo”.
http://www.today.it/cronaca/jorge-bergoglio-dittatura-argentina.html
L’isola del silenzio. Un libro Fandango sul ruolo della Chiesa nella dittatura argentina
«Impaludato nella mitra e negli ornamenti arcivescovili, la personalità di maggior rilievo della Chiesa argentina fu protagonista di un grandioso funerale di stato, coerente con quello che fu la sua vita. [Il cardinale] Caggiano ricevette gli onori militari di un vicepresidente della Nazione. Nella strada, le truppe schierate dinanzi alla Cattedrale presentarono le armi all’uomo che aveva dedicato la vita a esaltarle come strumenti benedetti di salvezza nazionale e spirituale».
Horacio Verbitsky, giornalista argentino di fama internazionale, ricostruisce – nel volume L’isola del silenzio (ed. Fandango, 2006), frutto del lavoro di 15 anni – il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina, sulla base di testimonianze dirette (sia di vittime della dittaura, sia di elementi della stessa milizia), documenti d’archivio, atti giudiziari. Ne viene fuori un’istituzione religiosa che non solo non ha condannato i crimini del regime (pur essendone in larga parte e dettagliatamente a conoscenza), ma vi ha addirittura partecipato in maniera attiva. Non compatta, certamente, eppure intensa, continuativa, deliberata, da parte di tanti suoi elementi di spicco (come appunto il cardinal Caggiano, o il provinciale dei gesuiti, il cardinal Bergoglio).
Una collaborazione concreta, pratica. In primo luogo, evitando di denunciare apertamente i metodi disumani di cui molti erano informati (i sequestri indiscriminati, i rapimenti notturni, la tortura, l’uccisione dei detenuti tramite lancio in mare, l’espropriazione forzata di tutti i beni delle vittime – di cui il sacerdote e segretario personale di Caggiano, Emilio Grasselli, approfittò ampiamente in prima persona). Soprattutto, accettando in silenzio che migliaia di individui venissero fatti “scomparire”, senza dichiararli come detenuti, dimodoché i familiari non potevano considerarli né vivi né morti (“desaparecidos”). Al punto da sconsigliare alle famiglie perfino di far ricorso all’autorità giudiziaria. Insomma, rendendo all’esercito un servizio spesso più efficace di quello della milizia stessa.
Ma anche una collaborazione teorica, teologica, non meno dannosa dell’altra. Giustificando la guerra scatenata dai militari all’inerme popolazione civile come inevitabile; giustificando la tortura come necessaria alla lotta anti-sovversiva (cfr. ad es. quanto scrisse il sacerdote Louis Delarue in un documento diffuso in tutti i reparti militari: «se la legge, nell’interesse di tutti, consente di sopprimere un assassino, perché mai si dovrebbe qualificare come mostruoso il fatto di sottoporre un delinquente, riconosciuto come tale e pertanto passibile di morte, a un interrogatorio duro [sic!] ma il cui unico fine è, grazie alle rivelazioni che farà sui suoi complici e sui suoi capi, proteggere degli innocenti? In circostanze eccezionali, rimedi eccezionali»).
Un libro che non entra nel merito delle dispute dottrinarie e che non vuole condannare la Chiesa come istituzione (né in quanto ultraterrena, né in quanto temporale), ma che documenta con estrema puntualità il disastro di una Chiesa che ha dovuto ascoltare, per bocca di uno dei suoi più alti esponenti (ancora Caggiano) l’elogio dell’affermazione del Vescovo di Verden del 1411: «quando la Chiesa si vede minacciata nella sua stessa esistenza, cessa di essere soggetta ai principi morali. Quando il fine è l’unità, tutti i mezzi sono benedetti: inganno tradimento, violenza, simonia, prigione e morte. Giacché l’ordine è necessario per il bene della comunità e l’individuo va sacrificato al bene comune».